Quello che è certo è che lungo tutta la sua
esistenza Carlo Emilio Gadda non riuscì a trovarsi mai in sintonia con le contingenze
nelle quali si sentiva coinvolto.
In quella
particolare stagione della storia che fu la prima metà del secolo XX, per non
lasciarsi sopraffare, ma anche solo per perdere dignitosamente, occorreva una
grande determinazione.
È altrettanto certo
che Gadda non aveva di suo le forze per prendere per le corna destini spesso
tragici. Il suo eccesso di lucidità che gli permetteva di vedere fin dentro le
pieghe più nascoste della realtà. L’indagine sul mondo che gli stava intorno lo
assorbiva talmente che non gli restava un briciolo di energia per affrontarlo.
Per questo viveva in un perenne stato di paura di esserne sopraffatto.
Molti lo ricordano a
casa di Maria Bellonci, seduto in un angolo, sull’orlo di una sedia, pronto ad
alzarsi per andarsene non appena una signora, per educazione, cercava di
intavolare con lui anche la più banale conversazione.
La condizione umana
non smetteva però, di incuriosirlo. Quando lavorava in Rai archiviava, in
ordinate cartelle, tutte le lettere ricevute. Su una di esse era scritto:
“Reparto deficienti: moto perpetuo e quadratura del cerchio”.
È chiaro che visse
con una coscienza troppo vigile dentro le molte contingenze assurde della prima
parte del secolo scorso. La più assurda, dal suo punto di vista, era il regime
fascista, così sistematicamente opportunista a fronte delle premesse ideali.
Non va neppure
sottaciuto il fatto che, morto il padre, la madre per conservare l’apparenza di
una rispettabilità altoborghese, in particolare la costosissima villa, lasciava
che i figli patissero la fame, portassero maglie da sotto incredibilmente
rattoppate, scarpe sfondate, i geloni alle mani e ai piedi.
Come compensazione
di tante insoddisfazioni, un vorace appetito. A tavola era insaziabile.
Ospite con Eugenio
Montale a un pranzo formale presso la famiglia Rodocanachi, poiché il poeta
disdegnava il cibo, fu costretto ad adeguarsi. Appena uscito dalla villa però
entrò in osteria e si fece servire un’enorme fiorentina al sangue, corredata da
abbondante contorno. Purtroppo, poiché si era di dimenticato di pagare il
conto, quest’ultimo fu recapitato alla signora Rodocanachi e Carlo Emilio ne
provò grande vergogna.
Gadda uomo era
indubbiamente difficile e sfoderava atteggiamenti e comportamenti sconcertanti.
Se sempre l’uomo illustra lo scrittore, nel suo caso le paure e le stranezze
servivano a tener vigile un costante atteggiamento di attenzione che ne ha
fatto uno dei più lucidi pittori della convivenza sociale.
Lo ha reso capace di
individuare, filo per filo, i nodi di quel “grummolo” nel quale si
aggrovigliano le esistenze umane.
Per l’Atelier Grazia Liverani