Viaggio minimo al Sud tra
Lucania
e
Sicilia orientale
Per
accostarci alle realtà meridionali con la delicatezza e la circospezione
necessarie, abbiamo dovuto abbandonare l’idea di ritrovarne lo spirito andando
a visitare alcune città simbolo del Sud. Nel meridione continentale e insulare non
mancano città di fascino.
In Puglia spiccano Bari e Lecce, in Lucania Matera,
in Sicilia, Siracusa, Palermo. Detto questo però, le grandi città meridionali,
se si esclude Napoli, non rappresentano quasi mai un’entità a sé, facilmente
riconoscibile. Siccome sono economicamente immobili, tra di esse e la gente
dalle terre vicine non esiste attrazione, anche se, delle risorse del
territorio, le città, in quanto tali, hanno voracemente bisogno.
Del resto, in
ognuna delle città del meridione il centro storico è come un piccolo scrigno
dove splende qualche gioiello, basti pensare al barocco leccese, alla città
vecchia di Bari e alla magnifica basilica romanica di San Nicola, al Palazzo
dei Normanni di Palermo.
Intorno a questo splendido nucleo antico però, la
città è cresciuta disordinata, senza fisionomia, ma e soprattutto, senza nessun
tessuto urbanistico che la colleghi all’architettura e alla storia dei nuclei
antichi. La città moderna vi si è aggiunta semplicemente al nucleo antico senza
soluzione di continuità.
Il meridione dunque, dalla Puglia, alla Basilicata,
alla Calabria, alla Sicilia, affida il suo fascino alle comunità rurali e ai
paesaggi che le circondano e, spesso le imprigionano, alla gente antica e
volutamente impenetrabile che le abita.

È per questa ragione che le
ultime due conversazioni del ciclo si sono proposte di offrire spunti di
curiosità e di riflessione a partire dai territori che si tengono lontani dalle
città. Solo in ultima analisi, parleremo di queste ultime, siano esse Matera
per la Lucania o Catania per la Sicilia orientale.
Non va dimenticato che tra
Eboli dove, nel 1935, l’ultimo treno che, in teoria dovrebbe avvicinare le due
coste, si ferma, vi è il non luogo abitato da chi fatica sulla terra. Neppure
si deve dimenticare che, nella Sicilia orientale, oggetto del racconto di de
Roberto, attorno ai Viceré, non vi è la città, ma il palazzo, il convento, la
villa sulle falde dell’Etna
e, più oltre, il latifondo.
Chiudiamo con qualche osservazione sul fatto che il Nord e il Sud nel nostro
paese appaiono ancor oggi due entità a sé.
Rammentiamo, per prima cosa a noi stessi, che il nostro sguardo è
inevitabilmente condizionato dal vivere ben ancorati in un’area molto legata
alla storia, alla cultura, ai paesaggi del Nord.
Non sottovaluteremo il fatto
che noi che abitiamo al Nord osserviamo il meridione con un atteggiamento di
distacco condizionato, nel migliore dei casi, da un sentimento di estraniazione,
nel peggiore, da un atteggiamento di superiorità. D’altronde però, persino
questa supponenza si tinge di nostalgia.
Quanti fra noi hanno intessuto la loro
vita con le culture che hanno incontrato migrando, sono essi stessi debitori
per una parte del passato della loro stirpe a quel Sud che non hanno imparato
né a riconoscere, né ad apprezzare.
Spesso la nostalgia ha radici
inconsapevoli. Queste radici però, sono talmente forti e invasive che, quasi
automaticamente, nel costruire i menù delle grandi feste, Natale, ma
soprattutto Pasqua, finiamo col proporre le delizie della cucina delle terre di
origine e che, assai spesso, sono terre del Sud.
Ma non sono state le città del
meridione che, nel secolo scorso, hanno ceduto al Nord i loro figli, quanto
piuttosto una miriade di piccoli paesi. L’emorragia di forze giovani e piene di
speranza l’hanno subita soprattutto i paesi. Allora ci può fare star meglio
riservare un angolo nella nostra mente a un’intensa e consapevole nostalgia per
una terra e per paesi nei quali non c’era futuro, ma che erano stati in grado
di segnare la loro gente con l’abbraccio caldo di quelle comunità che sapevano
ancora vivere il valore della fraternità.
(a cura di Grazia
Liverani)