Giovedì 13 dicembre,
alle ore 18.00,
Biblioteca Civica di Pordenone, sala Degan
l’Atelier di lettura, presenta
Almanacco inverno-primavera
GIACOMO LEOPARDI
DIALOGO DI UN
VENDITORE DI ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE
Almanacco è voce araba (al-manakh) e significa calendario e il nostro è, infatti, cadenzato in due
stagioni, l’inverno e la primavera, scandite per singola giornata, dal 21
dicembre al 20 giugno.
L’operetta è stata composta
da Giacomo Leopardi nel 1832 e pubblicata nell’edizione delle Operette morali del 1834. Progettato
probabilmente per il giornale “Lo Spettatore” e indirizzato a “quelli che
vogliono leggere per diletto”, il breve dialogo ha un andamento vivace e
incalzante anche in virtù della prosa lineare e del lessico comprensibile. Mette
a nudo la serena ingenuità di uno dei due protagonisti, il venditore di
almanacchi ma, sotto la patina dell’apparente tranquillità, svela ancora una
volta il profondo pessimismo del poeta di Recanati.
Si incontrano per la strada un passante,
l’alter ego di Leopardi, e un
venditore di almanacchi, o di lunari, per definire in modo più popolare questi pot-pourri
di sapienza che si colorano di previsioni, di consigli, di precetti e di
commemorazioni. Il viandante pungola il venditore con quesiti che si incentrano
soprattutto sulla felicità della vita, che il secondo dà per scontata, mentre
il primo, apparentemente consenziente, la confuta.
Alla precisa domanda del
passeggere se il venditore vorrebbe rivivere la vita passata, o se chiunque,
ancorché principe, vorrebbe riviverla, l’uomo semplice risponde convintamente
di no.
Ne consegue che la vita che non si vorrebbe rivivere è quella passata,
quella già vissuta, quella che si conosce e non si apprezza. Si spera, invece,
che quella futura, ignota, possa essere più soddisfacente e piacevole.
Questo è
il senso degli almanacchi, che parlano di un prossimo futuro e giocano, in
fondo, sull’ambiguità, tanto che il passeggere, pur pessimista, alla fine
acquista dal venditore, per la somma di trenta soldi, il lunario più bello che
ha. Si incontrano e si” scontrano” in quest’operetta due interlocutori anonimi
portatori di due sentimenti contrapposti: il popolano, col suo sentire
ottimista, e l’uomo colto e disilluso e anche pedagogo che cerca di istruire il
meno educato e di farlo giungere alla conclusione che le sue convinzioni sono
sbagliate.
Il passeggere, però, non ha spocchia, né tanto meno superbia o
prosopopea, ma soffonde tutto il dialogo di una pacata e bonaria ironia
dipingendo il popolano e la sua salvifica faciloneria con una sorta di
comprensiva pietà. In fondo la sorte infelice che accomuna è quella che tocca a
tutta l’umanità, colta o insipiente che sia. E allora, in conclusione, l’unico
modo tollerabile di vivere la vita è quello di viverla con superficialità?
Per l’Atelier di lettura
Lorenza Moro